State of Mind pubblica la mia intervista a Mirella Izzo sul libro “Oltre le Gabbie dei Generi – Il Manifesto Pangender”. Intervistare questa autrice è stato per me non solo fonte di grande ispirazione e interesse, ma anche motivo di orgoglio e stima nei confronti di una persona meravigliosa.
Mirella Izzo nasce il 23 aprile 1959 di sesso maschile. Transiziona a 39 anni.
Fonda, lo stesso anno, l’associazione Crisalide Arcitrans, dall’anno successivo “Crisalide AzioneTrans”, fino al 2006 che è la prima Associazione italiana a definirsi Transgender e non Transessuale, motivandone la scelta. Collabora dal 2000 al 2003 con lo Sportello Nuovi Diritti della CGIL a Genova e scrive – con altri – un pamphlet sui diritti/doveri dei datori di lavoro nei confronti delle persone transgender. Convince, dopo incontro informale, il Tribunale di Genova, ad eliminare la perizia d’ufficio a carico dell’istante nelle cause di rettificazione di Genere. Importa per prima in Italia il termine “transfobia” differenziandone il significato da “omofobia”*.
Alla fine 2003 subisce un intervento per aneurisma all’aorta e da allora inizia a limitare le sue attività pubbliche dal 2006. Scrive il Manifesto Pangender in parziale critica del Movimento LGBT e su questo fonda, insieme ad altri, Crisalide Pangender che durerà circa un anno. E’ la prima translesbica e transfemminista italiana e scrive svariati articoli sui temi sul proprio blog “De/Generi” e sui suoi libri. Pubblica “Translesbismo: istruzione per l’uso” (2007), ed il libro di poesie “Perpetue Rifrazioni” (2007), il libro “Oltre le Gabbie dei Generi: il Manifesto Pangender”(2012, Ed. Gruppo Abele) che compendia il Manifesto originario. Due anni dopo pubblica il libro “Donnicidio: il femminicidio visto dagli occhi di una donna nata maschio”. Nell’anno 2015 nasce l’Associazione Rainbow: pangender & pansessuale” prima ad ispirarsi al “Manifesto Pangender”** e viene nominata Presidente Onoraria.
* http://www.crisalide-azionetrans.it/trans_omofobia.html
** www.pangenderpansessuale.it/chi-siamo/
LIBRO “OLTRE LE GABBIE DEI GENERI” DI MIRELLA IZZO
Intervista con l’autrice
2012, Edizoni Gruppo Abele – 141 pagine
Dedicato a Jole Baldaro Verde
- Il libro inizia con l’affermazione Questo non è un libro per trans. Successivamente dopo alcune righe aggiunge “questo è un libro per tutti”. Mi piacerebbe cominciare questa presentazione spiegando perché questo libro è per tutti.
Ho voluto chiarirlo fin dalla prima riga per una serie di ragioni: il fatto che io fossi notoriamente transgender e che il titolo del libro richiamasse questioni di Gender, poteva facilmente ingenerare la convinzione che il mio sforzo fosse quello di individuare qualcosa di nuovo all’interno della “galassia” delle definizioni che circondano il mondo “transessuale/transgender/genderqueer/gendervariant e chi più ne ha più ne metta.
In realtà il libro vuole avere un messaggio diverso e cioè che “l’identità di Genere” e non solo il “Genere” riguarda ogni persona umana. Spesso nei documenti ufficiali di leggi o testi politici si tende ad utilizzare “Identità di Genere” come equivalente di Transgender. Mia intenzione é smontare questa tesi. Le persone Transgender hanno una (o più) specifica “Identità di Genere”, particolarmente evidente agli occhi altrui, in quanto comporta, generalmente, una “mutazione” del corpo e dei tratti somatici dovuti, in primis, alla terapia ormonale sostitutiva che femminilizza o mascolinizza la persona. Quindi, come si è ingenerata la falsa equivalenza “trans = prostituta”, persino nei documenti ufficiali dei Governi “Identità di Genere” è diventato uguale a “Transgender. In realtà l’“Identità di Genere” dovrebbe indicare qualcosa di più generale e cioè il proprio posizionamento, gli infiniti, anche piccoli, discostamenti dal Genere di appartenenza e dalle Aspettative di Genere (o ruoli di Genere). Nel libro faccio alcuni esempi di quanto, specie nei maschi biologici, anche un piccolo discostamento – se non represso – possa generare grande panico nei parenti, amici, conoscenti, colleghi, capi della persona e in chiunque abbia a che fare con una persona così. Nel libro inserisco casi eclatanti di quanto, specie negli uomini, un piccolo discostamento dagli Stereotipi di Genere, possa generare rifiuto ed emarginazione. Ratio di questa parte del libro è il coinvolgere tutta la popolazione in una presa di coscienza tale da ingenerare il rifiuto del concetto di “diverso”. Siamo tutti coinvolti ma nelle persone “Transgender”, questo coinvolgimento è evidente agli occhi di tutti e necessita di un aiuto medico. Il libro ha uno scopo ben preciso: sviluppare una cultura inclusiva cercando nelle realtà scientifiche più recenti: da cui la necessità di essere rivolto a tutti, non a una parte. E’ un messaggio di liberazione di Genere a cui, probabilmente, l’Italia non è ancora pronta. Ho spesso avuto la sensazione che il libro parlasse ad un pubblico non esistente (spero, per ora), se non in quella parte di umanità che – o per studio o per ricerca individuale – che ha già coscienza di quella parte di Identità individuale che ha a che fare con il Genere ed anche il Sesso e, di conseguenza, gli orientamenti sessuali.
Inoltre – cosa importantissima per me – è mia convinzione che molti suicidi di padri (o madri) di famiglia con figli, moglie, bella casa, assenza di depressioni antiche e che risultano “inspiegabili” – siano, in realtà, dovuti, in una buona quota a parte, alla realtà di persone che hanno represso per tutta la vita la loro identità (o anche il semplice orientamento sessuale) creandosi una prigione dalla quale si può uscire (secondo costoro) solo con il suicidio. Accettare un uomo (la donna è già più avanti) non stereotipato porterebbe alla luce molti modi diversi di essere uomo e meno sofferenza negli uomini non perfettamente “in linea” con gli stereotipi del “maschile” e farebbe anche vedere che il “fenomeno transgender” non è un elemento “qualitativo” ma fondamentalmente quantitativo nel discostamento dallo stereotipo di genere maschile e femminile.
- Il sottotitolo del suo libro è IL MANIFESTO PANGENDER, vorrebbe spiegare cosa intende con questo termine PANGENDER, magari partendo proprio dalla definizione di GENERE. Poi avremo modo di parlare dell’idea di scrivere un MANIFESTO.
Per rispondere a questa domanda bisogna fare un po’ di storia sul momento sociale in cui il libro è uscito. Il movimento LGBT usciva da stagioni di forti lotte intestine (e di potere) che si sono evidenziate in vari Pride, con il culmine del Pride di Bologna. Io facevo parte del “gotha” delle presidenze delle Associazioni LGBT dell’epoca (Crisalide AzioneTrans), ma mi sentivo sempre di più a disagio in un movimento che – ai miei occhi – sembrava ripetere da decenni le stesse “parole d’ordine”, con le stesse “modalità” di espressione, con gli stessi giochi di potere a difesa della propria nicchia rappresentativa.
Io mi sono permessa di contestare, dentro una mailing list di “responsabili associativi”, il mio disagio ed il fatto che bisognasse in qualche modo superare la forma sommatoria che si era data il movimento, e cioè L+G+”B”+T e poi ancora L+G+B+T+Q+I, sigla impronunciabile ma che –soprattutto – manteneva le distanze tra le diverse identità senza cercare una sintesi. Anzi, in “camera caritatis” tutte le singole identità della sigla avevano un rapporto pieno di pregiudizi verso le altre componenti del movimento. Pregiudizi che ho elencato ed esemplificato ampiamente nel libro. Mettere alla luce queste contraddizioni e cercare una sintesi avrebbe messo in discussione l’attuale assetto delle Associazioni e ne avrebbe rivoluzionato il modus cogitandi e operandi. Per questo il libro, molto apprezzato tra psicologi e sociologi, è stato silenziosamente messo all’indice dal 99,9% delle Associazioni LGBTQI.
Io questa sintesi l’ho cercata, non solo tra LGBT, ma anche includendo gli etero e le persone coerenti tra sesso, genere e identità di genere, ma anche altre identità “non riconosciute ma esistenti. Questa comunità inclusiva di ogni identità e orientamento l’ho chiamata “Pangender”. Nel libro ho ben specificato quale significato ho dato a “Pangender” perché in USA esiste un, pur piccolo, movimento “pangender” che dichiara di avere in sé tutti i generi e le identità di genere… Un concetto che io trovo “border line”, in quanto, come individui, possiamo essere “una parte”, magari anche estesa, allargata, ma mai il “tutto” a livello individuale. Il nostro concetto di “Pangender” é invece rappresentativo di un “balzo quantico” di coscienza di tutte le comunità umane sessualmente identitarie che vivessero le differenze senza giudizio. Ecco come nasce il Manifesto Pangender intorno al quale è poi nato il libro con delle doverose premesse per chi non fosse addentro all’argomento e una parte successiva che tentava di ampliare le enunciazioni del Manifesto, tentando anche di dare risposte alle contestazioni più probabili che mi venivano in mente.
Il libro doveva essere il primo di una triade, ma poi non ho avuto le forze di scrivere neppure il secondo. Un esempio di quanto avrei voluto sviscerare è una realtà che io stessa ho riconosciuto in tempi recenti. Persone che definisco “Gendernauti”. Di solito transizionano da adulti, hanno un passato di vita apparentemente “normale” nel genere di nascita, ma con qualche atipicità emozionale. Ad un certo punto della vita (in genere dai 35 ai 50 anni), sentono di non avere più alcuna identificazione con tutto quello che avevano agito nel proprio genere di nascita. Da qui nasce il desiderio profondo di vivere nel genere opposto al sesso di nascita. Di norma non si ha consapevolezza di essere “gendernauti” ma si pensa di essere transgender “tardivi” per molti anni e con molte recriminazioni sul non aver compreso prima la propria realtà. Solo dopo molti anni si capisce (ma è difficile da accettarsi perché ci si sente “out” rispetto alle altre persone transgender) che in realtà un “maschile” (o un femminile) esisteva ma era fragile, debole e dopo una parte di vita si era esaurito. E’ un argomento che ora accenno appena, che meriterebbe almeno un capitolo di un libro.
Peraltro, inconsciamente, io stessa, proprio ad inizio transizione, nel maggio 2000, scrissi poche righe che in sé contenevano l’essenza di cosa intendo per “Gendernauta”. Le trascrivo perché spiegano meglio di tante disquisizioni:
“La vita non è tutta gioia o tutto dolore, tutta luce o tutta oscurità. Non è sempre estate o sempre inverno, sempre sereno o sempre nuvoloso… Gli opposti si alternano costantemente, talvolta sovrapponendosi e mischiandosi in alchemiche magie… E così la vita offre spesso un gusto piacevolmente “agrodolce” o inquietantemente “dolceamaro”. Mentre noi – spesso scioccamente – cerchiamo di separare ogni singolo ingrediente, la vita ci coglie nel suo inscindibile insieme di aspetti contraddittori. In me il “maschile” si è spento come in un tramonto autunnale lasciando spazio, dopo una notte buia e di tormento, ad un’alba “femminile” dolce e magica. Ma in questo nuovo giorno albeggiante rimane l’eco dei ricordi di ieri. Ricordi di cui faccio tesoro e che talvolta “rileggo” come un caro diario di una vita passata.”
Ora ho solo voluto lanciare uno degli spunti che avrebbero composto il secondo libro. Il terzo avrebbe dovuto sviluppare il capitolo del primo libro “Panhumanity. Il naso fuori” che accenna ad un’estensione del concetto da solo pangender a “panumano” e “panterrestre” (includendo mondo animale e vegetale).
- Nella prima parte del libro “Dal transgender al pangender” lei ripercorre con estrema meticolosità la terminologia, per fare chiarezza sulle parole che usiamo perché molte persone ignorano spesso il significato vero dei termini che utilizzano. Il termine TRANSESSUALE precede nel tempo quello di TRANSGENDER. Nel 1966 Harry Benjamin definisce il “transessuale” come un individuo che vive un profondo disagio (disforia, contrario di euforia) rispetto al sesso biologico. La parola “transgender” viene utilizzata la prima volta nel 1970, negli USA, dalla militante trans Virginia Prince. Perché oggi è preferibile parlare di “transito di genere” piuttosto che di “transito di sesso”?
La risposta apparirà ingenerosa verso il dottor Harry Benjamin che rese famoso il termine transessuale (non lo inventò lui) che pur ha dato tanto alle persone che soffrivano terribilmente nel sentirsi inadeguate al sesso di nascita. Ingenerosa perché transessuale è un termine innanzitutto errato proprio dal punto di vista medico: “il sesso è dato dal cariotipo delle persone e dai caratteri sessuali primari (ovaie e testicoli e non, come pensano in molti, pene e vagina/vulva/clitoride)”. Quindi il sesso non lo si può cambiare. Perlomeno non fino ad ora: Il mio cromosoma è rimasto XY dopo la transizione e non c’è modo di avere delle ovaie funzionanti. Si può fare una neo vagina o un neo pene (con tutte le riserve del caso sulla effettiva funzionalità di questi organi sessuali chirurgicamente modificati), ma senza ovaie o testicoli. Quindi “transessuale” è un termine tecnicamente e scientificamente impreciso, se non errato. Non fu però solo questo il motivo che spinse Virginia Prince a coniare il termine “Transgender”. Nella sua intenzione c’era anche il primo vagito della voglia di uscire dalla medicalizzazione della nostra condizione. Usare un termine di nascita medica (e per di più scorretto) non era adatto a chi voleva costruire un movimento di liberazione.
Per rispondere alla domanda: la transizione è di Genere o non è. Non esiste la possibilità, allo stato attuale, di una transizione sessuale. Transgender (o se si vuole italianizzare: “transgenere”) è il termine “ombrello” giusto per indicare le persone con varianti della propria identità di genere rispetto al Genere e al Sesso. Ricordo che una nota neuropsichiatra milanese che si è occupata di seguire persone “trans”, scrisse un capitolo di un libro collettaneo che poi non vide mai la luce, intitolato, provocatoriamente, ma non troppo: “Siamo tutti transgender”.
- Da pag. 52 a pag. 66 troviamo IL MANIFESTO PANGENDER. Il libro si articola in 3 parti, il Manifesto Pangender costituisce la seconda parte. Pag.69: ho trovato molto interessante l’affermazione secondo cui, per una questione di precedenza nella costruzione identitaria individuale, è auspicabile sapere chi siamo prima di sapere che cosa ci piace, ovvero l’identità di genere prima dell’orientamento sessuale. A questo proposito sembrerebbero esserci tanti orientamenti sessuali quante identità di genere. Possiamo soffermarci su questo punto?
Bisogna essere chiari: questa esigenza si pone a livello filosofico, culturale, psicologico ma non medico. Per la medicina, a tutt’oggi una transgender da Maschio a Donna (non a Femmina proprio perché è transizione di genere e non di sesso) con orientamento sessuale lesbico (verso le donne) viene definita come “UN transessuale androginoide eterosessuale”. Se alla trans piacciono gli uomini “un “transessuale androginoide omosessuale”. E viceversa per un trans da Femmina a Uomo a cui piacciono le donne è “Una transessuale ginoandroide omosessuale” e se gli piacciono gli uomini “una transessuale ginoandroide eterosessuale”. Per la medicina conta solo ed esclusivamente il cariotipo e su di esso costruiscono le definizioni degli orientamenti sessuali e gli “articoli” al maschile o al femminile da utilizzare. Stabilita questa distanza abissale tra medicina ufficiale e movimenti delle persone “non conformi” alla dualità “Maschio/Femmina” ed anche alla dualità “Eterosessuale e Omosessuale” (la Bisessualità viene vista come un mix dei due orientamenti esistenti), spiego perché, secondo me, viene prima l’identità di genere rispetto all’orientamento sessuale.
E qui devo aprire una parentesi grande grande. Con “viene prima” non intendo un primato dell’Identità di Genere sull’Orientamento sessuale, semplicemente, nel caso in cui (e solo in questo caso se indagato bene) non sai ancora chi sei (uomo o donna per semplificare molto), che nome puoi dare al tuo orientamento sessuale? Fino a che non definisco la mia individualità di Genere posso anche sapere il mio orientamento sessuale ma non so che nome dargli. Ma non è solo una questione di nome. Ad intervenire è anche il “come praticare l’atto sessuale”. Io ho avuto relazioni con donne da uomo e poi da donna (non operata) e posso garantire che le modalità dell’agire sessuale è totalmente diverso. Io sono sempre io, ovviamente, ma dentro l’identità di genere esiste anche una diversa modalità di vivere la sessualità ed una modificazione funzionale degli organi sessuali. E’ una cosa non solo psicologica ma anche ormonale. Per fare un esempio personale: con il cervello invaso dal testosterone la mia sessualità (ed il mio agire sessuale) era opposto a quando ho iniziato ad invertire la prevalenza, pur con gli stessi organi genitali i quali, peraltro, restano gli stessi nella forma (a riposo, nel mio caso), ma si rivoluzionano letteralmente nella funzione nell’atto sessuale e di raggiungimento del piacere. Nel libro dedico un capitolo a questo particolare aspetto della transizione, ben poco (o niente) esplorato, in precedenza.
Inoltre spiego l’insolita situazione oggi prevalente nei libri di psicologia e sociologia. Si identificano sempre più sfumature di Identità di Genere, ma gli Orientamenti sessuali restano duali. Non ci sta e non ci deve stare perché altrimenti si generano gli orientamenti sessuali “giusti” e quelli “sbagliati”. Nel libro individuo una 20ina di orientamenti sessuali diversi (ma ce ne possono essere di più) e do pure loro un nome specifico per ogni orientamento. L’ho chiamato “gioco degli orientamenti sessuali” perché il gioco rivela la sua verità attraverso il “paradosso”. Tanti più sono gli orientamenti sessuali tanto più sarà difficile discernere quello “giusto” da quello “sbagliato”… Alla fine gli orientamenti sessuali sono tanti quante le sfumature delle identità di genere e hanno tutti pari dignità (fatto sempre salvo l’imperativo implicito che sono orientamenti sessuali solo quelli tra post puberali consenzienti)
- Nell’appendice che ha deciso di inserire in questo libro come integrazione della prima parte, nel paragrafo sul Tranfemminismo a pag. 124, cita l’articolo di uno psicologo che descrive la femminilità transgender come quella utilizzata dalle sex worker transgender per procacciarsi clienti. Un errore grossolano ed imbarazzante che ricorda come molti professionisti non siano in possesso dei requisiti formativi di base necessari a parlare di queste tematiche. Vi avviamo alla conclusione e le chiederei di soffermarci proprio su questo aspetto, che trovo essenziale ed affascinante allo stesso punto, quello della femminilità appunto.
Quello psicologo italiano di cui, onestamente, ho dimenticato il nome (pur essendo, a suo tempo, ospitato, l’intervento in questione, da una nota rivista di psicologia on line) rappresenta lo scempio dell’individuazione di cosa è femminile e cosa è maschile. Lo sciovinismo che impregna quell’articolo appartiene a una mentalità che, almeno tra gli specialisti, dovrebbe appartenere a due secoli fa, ma al di là di questo esempio eclatante, esiste tanta ignoranza meno evidente in ambito di Genere. Ci sono stati casi in cui psicologi/psichiatri ci hanno messo anni ad arrivare ad una diagnosi della cosiddetta “Disforia di Genere”. Il che vuol dire che le persone aspettavano anni senza una risposta e senza poter iniziare il percorso! Una cosa assurda: nei tribunali per stabilire se un assassino era capace di intendere e di volere o il contrario, ci possono volere settimane, mesi, non anni. E si parla di omicidi!!!
Del resto nei programmi universitari di Endocrinologia, la parte riservata agli ormoni sessuali è trascurata ed è un grave errore perché Estradiolo, Testosterone e Progesterone sono, di fatto, sostanze informazionali alla pari di Serotonina, Noradrenalina, Dopamina ecc. e non regolano solo la sessualità. L’esempio più eclatante è il rapporto tra testosterone e aggressività che dà poi vita, insieme a fattori sociali e individuali e culturali, a fenomeni come la violenza sessuale e il Donnicidio. Nessuno sembra chiedersi PERCHE’ questi fenomeni riguardano solo i maschi e, nel caso in cui se lo chieda, si risponde con frasi tipo “a causa della società patriarcale”, ma nessuno va oltre a cercare di rispondere al perché la società patriarcale e maschilista si è imposta in tutte le società umane e dei primati, con l’unica eccezione dei Bonobo, una sottospecie di Scimpanzé con cui condividiamo il massimo del Genoma rispetto agli altri schimpanzé, Orango, Gorilla ecc.
E’ importante studiare la società dei Bonobo per capire cosa sia andato storto nella evoluzione umana, perché la società dei Bonobo è pacifica, non conosce guerre e risolve le tensioni attraverso atti sessuali promiscui e mai violenti ed è totalmente matriarcale. Quanto ci sarebbe da dire sul fatto che una società matriarcale sia così sessuale mentre quelle patriarcali sono fondate sulla supremazia…
Si dice che l’uomo pensa sempre al sesso e la donna no, ma uno dei motivi per cui la donna è stata sottomessa, a mio parere, sta proprio nella potenzialità della sessualità femminile (multiorgasmica e che non sceglie, tra la prole, lo sperma che ha fecondato l’ovulo). E credo in parte di rispondere anche a quanto poco si studiano questi aspetti nelle Università nelle facoltà di Psicologia o di Sociologia.
Allora cosa è la femminilità? Molto semplice: quello che le donne libere (e sono poche nel pianeta) agiscono e sentono in quel dato contesto storico, sociale, territoriale. Non tutte agiscono nello stesso modo? Ovvio, non esiste uno Stereotipo di Genere: è tutta un’invenzione maschile, a mio parere. Del resto Simone de Beauvoir scrisse: “Donne non si nasce, lo si diventa”: profetica, in ogni accezione possibile.